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Immersione e Pathos

Full Immersion
Nihil enim est mori quam vivere – Tutto passa niente si dimentica
Nel vortice del pathos
Oscura tentazione
Nihil certum est – Niente è certo

E’ una full-immersion, questa di Patrizia Lo Feudo, tanto simbolica e ancestrale quanto magmatica e fluidificante è la sostanza pittorica in cui l’artista immerge la figura sprofondandola nello spazio degli abissi, anche emozionali, del mare magnum di una profonda vuotezza dalla quale però emerge con tutta la forza di una catartica azione di ri-salita, come fosse la spinta, pulsionale ed erotica, di una rinascita energetica tanto liberatoria quanto necessaria era stata l’immersione, direi, nella sanguigna e pesante dimensione del mondo per uscirne alla fine, e mediante l’artificio dell’arte, leggera, imprendibile e libera.
Due forze uguali e contrarie paiono afferrare la figura e trascinarla, ora nel fondo degli abissi siderali delle acquatiche profondità, dove solo il silenzio resiste alla grassezza enfatica della vita, in una discesa che è come un’iniziazione che rigenera e purifica attraverso un contatto con le acque primordiali, e ora in alto, in una sorta di ascesa in cui persino l’acqua è purificata e investita del suo potere fecondante, vivificante e preparatorio, alla fine, di una nuova vita e di un nuovo stato.
Il bagno, in ogni caso, sottolinea il bisogno di una placenta originaria e dunque un ritorno alle origini, ovvero un desiderio di tenerezza, distensione e sicurezza, ma anche un bisogno di esplorazione dell’inconscio, e la risalita indica una emersione, un’ascensione anch’essa iniziatica o, quanto meno, una rinascita o una via che anche assunzione di determinazione volitiva e di consapevolezza, ovvero ambizione e scoperta dell’io,.
Per questo, suppongo, le tonalità dell’opera sono quelle di un rosso infuocato. La figura pare sfaldarsi e bruciare al passaggio della soglia iniziatica, e arde, direi, nell’assunzione della via, che è anche un cammino di purezza, spirituale e mistico.
Un velo di dualità separa, taglia l’opera e attraversa il dipinto come si trattasse di due condizioni, due tappe o due parentesi di un vissuto bruciante che sottende un sacrificio interno, come quello di bruciare e consumare i propri demoni, ma in vista del perfezionamento di un principio di libertà necessario e improcrastinabile, come le necessità interiori.
Lo scendere e il risalire, poi, è anche simbolo della trasformazione dello stato di coscienza, la capacità a superare il negativo nella sfera vitale di un livello superiore e positivo.
Altra, cosa, poi, è parlare della donna, ovvero la figura che qui si rappresenta.
Forse c’è anche un desiderio di emancipazione e di affrancamento rispetto a schemi logorati che anziché di liberazione suggeriscono modalità di sottomissione, e tutto sommato la spinta inarrestabile verso l’alto pare sottolineare anche un desiderio di affrancamento, totale e definitivo, rispetto a modalità che occorre lasciarsi alle spalle o sul fondo degli inamovibili relitti d’inquietudine, e si tratta di questo e altro.
Ma qui viene in risalto, e direi prepotentemente, una potenza, anche erotica e carnale, che si rivela come simbolo di femminilità che chiede e domanda il diritto di esistere con tutta la flagranza di un fiore che sbocciando impregna l’atmosfera di esuberante vitalità, l’andante sinfonia di una donna che, passando per la cruna dell’ago, per una porta stretta, penetra un cunicolo di luce, una porta del sole, e si prepara all’uscita nel cosmo.
Si avverte, e concludo, il messaggio di un’estrema rapidità, come l’azione rapida della vita e dell’arte, condotto su una certa opposizione, un certo dualismo di simbolismi e di coppie di contrasti che conduce, comunque, in ogni singolo dettaglio e in ogni singolo movimento del corpo, all’esaltazione della vita.
Patrizia Lo feudo, allora, ha dipinto una donna ma anche un movimento tellurico, una figura femminile ma anche un’eruzione vulcanica, una concretezza ma anche una trascendenza, la terra e il cielo, il limitato e il circoscritto ma anche l’infinito.
E se poi ha dipinto se stessa bene ha fatto, l’arte non essendo altro che un rituale, un espediente fatto apposta per ingannare ma dicendo la verità, e magari anche per raccontarsi.
Il che è una grande lezione di arte.

Cosenza 21 Maggio 2009

Gianfranco Labrosciano